Saturday, February 28, 2009
True Blood
Pare che questo sia l’anno del vampiro. No, non è un oroscopo cinese a dirlo, ma il box office. Twilight è stato un successo incredibile, e probabilmente lo saranno anche i suoi seguiti. La produzione era cosi preoccupata di mettere in moto il sequel che ha pensato bene di licenziare la regista (Catherine Hardwicke) ancor prima che si mettesse al lavoro solo perchè aveva chiesto un po di tempo per lavorare alla sceneggiatura. Hollywood non può attendere così a lungo.
L’altra faccia cinematografica di questa vampiromania è “Lasciami entrare” di Tomas Alfredson, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist. Questa volta i vampiri sono veri vampiri, ma bambini. Il film racconta in modo molto delicato un infanzia difficile di un bambino perseguitato dai bulli che incontra una “piccola” (solo all’apparenza fisica) vampira. La loro amicizia porterà entrambi a capire qualcosa di loro stessi.
I romanzi e le pubblicazioni a tema si sprecano e anche la televisione sembra aver subodorato la possibilità di un nuovo mercato. In un momento molto felice (di sovraproduzione azzarderei) di serial tv, l’horror sembra essere l’unico a mancare all’appello tra i generi ancora non affrontati. Troviamo il thriller, la commedia, il poliziesco, il romantico, ma di horror nemmeno l’ombra. Qualcuno dirà: “e Buffy?” Si è vero. Buffy partiva da una serie di racconti horror. Si potrebbe dire che in un certo senso è un precursore di questo successo dei vampiri soprattutto tra gli adolescenti ( per vostra curiosità esiste un film dal titolo Buffy l’ammazza vampiri che risale addirittura al 1991 e che ha per protagonista un redivivo Luke Perry…si proprio Dylan di Beverly Hills 90210, no comment sull’ultimo remake di quest’ultima serie…). Quello che è sempre mancato è un approccio più adulto al tema. Per farla breve che almeno vengano rispettate le regole base ( in Twilight i vampiri non hanno paura della luce e succhiano sangue animale…in pratica sono una strana forma di vegetariani, odiati dai vegetariani).
Tutti si sarebbero aspettati interesse da una grossa major commerciale invece a sopresa l’HBO ha commissionato a Alan Ball (già creatore di Six Feet Under) una serie nuova di zecca dal titolo True Blood.
In un futuro non ben precisato i vampiri e gli umani possono vivere assieme pacificamente grazie all’invenzine rivoluzionaria di una ditta farmaceutica giapponese, che ha inventato uno speciale tipo di sangue sintetico che può soddisfare i bisogni dei vampiri. Bill Compton un vampiro ultra centenario decide di trasferirsi a Bon Temps, un piccolo paesino della Louisiana. Qui incontra Sookie, una cameriera che ha il dono di leggere nei pensieri delle persone (lo so cosa state pensando…ma dategli ancora una chance). Naturalmente tra i due nascerà qualcosa, e naturalmente nel piccolo paesino di Bon Temps tutto non sarà più come prima. Una serie di omicidi metterano a repentaglio l’integrazione tra umani e vampiri.
Questa, in due parole, la trama di True Blood (di cui naturalmente non svelerò alcun segreto, per non rovinare la sopresa a chi vorrà goderselo su Fox il prossimo aprile) una serie che fin dal primo fotogramma della sigla vi stregherà. Bad Thinghs canzone di Jace Everett accompagna una serie di immagini apparentemente slegate fra di loro: sesso, religione, morte, sangue. La prima impressione è di straniamento. Di solito una sigla ci presenta dei personaggi, in questo caso invece vediamo luoghi, persone che non appariranno mai all’interno della serie. Il suo intento è quello di farci saltare in un altra dimensione, quella di Bon Temps. Accelerazioni, rallentamenti, KuKuxKlan, purificazioni, danze estreme, 90 secondi (un eternità se li paragoniamo ai 10 secondi di Lost) che vi porteranno a credere alla realtà creata da Alan Ball.
Sigla - True Blood
Sullo sfondo delle avventure dei vari personaggi, imperversa la televisione che di volta in volta ci aggiorna su quelle che sono le battaglie politiche che la lega dei vampiri (di cui trovate anche un “viral” sito http://americanvampireleague.com/) porta avanti per dare a umani e vampiri gli stessi diritti. Non è un caso che la serie sia ambientata nel sud degli Stati Uniti, luogo dove già si è combattuto per i diritti degli afroamericani.
La sessualità è un tema centrale ( come anche in Six Feet Under), e molte volte vediamo l’omosessualità intrecciata al vampirismo. Anche qui, come spesso capita, la metafora fantastica si occupa invece di problemi attuali. Le lotte politiche per i vampiri sembrano molto simili a quelle dei diritti dei gay (con tanto di richiesta matrimoni tra umani e vampiri accettata solo in alcuni stati) e gli attacchi della chiesa cattolica sembrano molto simili a quelli che sentiamo riguardo a questi argomenti.
Naturalmente True Blood non è un serial politico, tutt’altro. La sua varietà ci porterà a ridere (la surrealtà di Alan Ball c’è sempre) ad aver paura (è un horror) a schifarci (non mancherà lo splatter anche se ben dosato…) e a conoscere un po’ meglio la figura moderna del Vampiro Mainstream (cosi vengono definiti quelli che vogliono far parte della società civile).
Questa non vuole essere una recensione, ho appena terminato la prima stagione ed è troppo complicato trarre qualcosa di razionale in cosi poco tempo. La sensazione è che seguirò la seconda stagione. Con quest’articolo volevo solo incuriosirvi verso una serie non convenzionale. Non sarà un aggancio immediato. Forse dovrete dargli un po’ di tempo, ma vi assicuro che dare un occhiata a questa serie non sarà una perdita di tempo.
True Blood - Trailer
Wednesday, February 25, 2009
Lavoratori in prima linea
Cosa sareste disposti a fare per il vostro datore di lavoro?
Ecco cosa hanno fatto un manipolo di lavoratori (motivati…ehm..più o meno) nel lontano 1985. Non è una parodia.
Super Broker
Tuesday, February 24, 2009
Psicologia seriale - The Mentalist - Lie To Me
In media ogni persona mente 3 volte in una conversazione di 10 minuti
In preda a una crisi mistica mi sono chiuso da qualche giorno in casa e compulsivamente guardo pilota su pilota di ogni serie televisiva prodotta negli ultimi mesi. Quasi filologicamente analizzo puntata per puntata per cercare di carpire qualche segreto di scrittura.
La mia attenzione è stata attirata da un paio di serie di nuova fattura. Lie to Me con protagonista Tim Roth (e di cui già qualche mese fa la pubblicità su ogni muro di New York mi aveva fatto presagire a qualcosa di importante) e The Mentalist con Simon Baker. La cosa particolare è l’approccio che le due serie hanno. Un po come CSI ha cambiato il volto del Police Procedural, rendendo star quelli che fino a poco prima erano solo dei topi da laboratorio, le due serie in esame cercano di fare un salto simile. Se Csi ci fa vedere un laboratorio come uno dei luoghi più emozionanti al mondo, in The mentalist e Lie to me l’azione è tutta nell’osservazione. Nessuna mossa di Karate, nessuna sparatoria, ma una lenta e minuziosa osservazione di quello che ci circonda. In The Mentalist il protagonista è un ex santone, un psichic, che dopo la morte della sua famiglia a causa di un serial killer decide di collaborare con le indagini di una squadra di federali. Non ha armi non ha neanche un badge qualche volta, i suoi occhi e il suo istinto sono l’unica cosa su cui fa affidamento. In Lie to me un Tim Roth un po altezzoso capisce da una micro espressione del viso se la persona di fronte a lui sta mentendo. Naturalmente ci prende sempre. A differenza di The mentalist, Lie to me sembra più scientifico nell’utilizzo dell’escamotage narrativo, molto spesso citando situazione e fatti realmente accaduti.
Entrambe le serie hanno, per ora, un qualcosa che le rende interessanti. Lie To me ha dalla sua un interpretazione incredibile di Tim Roth che da solo vale la serie oltre ha una base teorica molto forte che rende credibile il racconto che ci troviamo a esplorare. The Mentalist, meno scientifico e più di intrattenimento sembra avere un segreto a lungo termine che probabilmente verrà centellinato durante il succedersi degli episodi.
aut.min.ric attenzione tutto quello che avete letto è stato scritto di getto e dopo la visione della sola pilota. Vorrei essere più loquace, ma ultimamente ho perso le parole (e giuro su dio che non sto citando Ligabue.)
Lie To Me
The Mentalist
Tuesday, January 20, 2009
J.C.V.D
Ieri sera sono finalemente riuscito a vedere J.C.V.D film di Mabrouk El Mechri con protagonista il redivivo Jean Claude Van Damme ( o Jean-Claude Camille Francois Van Varenbergh come scoprirete nel film). Sembra che questa sia la stagione delle Rentrèe. Dopo Mickey Rourke con Wrestler di Darren Arenowsky, che gli ha permesso di vincere un golden globe, Mabrouk El Mechri cerca di raccontare in un film, a metà fra la biografia e il mockumentary, uno spaccato di una star in decadenza che per fuggire quelli che sono stati i suoi errori, decide di tornare nel suo paesino d’origine in Belgio. Nella scena iniziale assistiamo a un lungo piano sequenza in cui vediamo l’oramai non più giovane Van Damme impegnato in un azione solitaria in un campo nemico. La macchina da presa non stacca mai e sembra descriverci piano piano l’avanzare della stanchezza dell’attore che con il fiatone si trascina all’interno di un hangar la cui parete crollerà alle sue spalle una volta entrato. La scena sarà da rifare. A questo punto assistiamo a Van Damme, con il cuore in gola, lamentarsi con uno svogliato regista orientale che non sembra prestare attenzione alle lamentele: “Io ho 47 anni e per me è molto difficile girare questa scena in one shot!”
L’escamotage narrativo utilizzato dal regista francese è molto semplice ma molto efficace. Van Damme si trova invischiato in una rapina, da parte di una banda di ladruncoli di paese, in un piccolo ufficio postale. Entrato per riuscire a pagare il suo avvocato impegnato nella causa dell’affidamento di sua figlia, Van Damme quando si trova di fronte i criminali pensa a una candid camera. Non è cosi. A questo punto diventa ostaggio dei criminali e suo malgrado diventa rapinatore per i poliziotti all’esterno che dopo aver sentito alcuni spari provenire dall’ufficio credono sia lui il pazzo che tiene in ostaggio decine di persone tra cui un bambino.
La rapina diventa una sorta di fenomeno mediatico, centinaia di persone si ammassano nel luogo della rapina urlando cori in favore della loro star preferita, seppure nella veste di nemico pubblico.
Van Damme sfruttando la sua notorietà cerca di imbonirsi uno dei rapinatori per salvare gli ostaggi presenti nell’ufficio postale. La sua azione diventa eroica ma ridimensionata dalla dimensione reale del film, lontana dalle sue colorate incarnazioni cinematografiche. Solo in un istante il regista ci regala Van Damme eroe inarrestabile, ma è solo un sogno, la realtà è tutt’altra cosa.
Mabrouk El Mechri, fan dell’attore belga, sembra darci una visione da bambino cresciuto del suo eroe dell’infanzia. Un superman indebolito dalla criptonite, che in questo caso è impersonata dalla vecchiaia e dalle conseguenze di una vita incredibile e sregolata.
Qua sotto trovate il teaser e il trailer del film, di cui ad oggi non esiste distribuzione italiana, spero di sbagliarmi.
JCVD Teaser
JCVD Trailer
Monday, January 19, 2009
Python’s Influence
Chi ama la comicità, ama i Monty Python. No aspetta forse è troppo limitante. I Monty Python sono stati in grado di andare oltre la comicità. Il mondo da loro creato è un uniquum nel panorama televisivo (prima) e cinematografico (dopo). E’ incredibile vedere come un loro sketch del 1969 “Dead Parrot” sia ancora oggi considerato uno degli sketch più divertenti mai prodotti.
Dead Parrot
Questo perchè i Monty Python hanno sempre cercato di parlare del presente attraverso una costruzione che si astraeva completamente dalla realtà. Questa completa astrazione ha fatto si che i loro sketch diventassero eterni, comprensibili in qualsiasi epoca e, esagero, qualsiasi dimensione. Provenienti da un’elite intellettuale (2 da Cambridge e 2 da Oxford, l’americano Gilliam venne in seguito), hanno cercato in ogni modo di smontare il meccanismo della comicità arrivando a scrivere Meta-sketch in cui l’evento comico veniva esplicitato liberandolo da tutti gli orpelli della finzione.
History of the joke
Molti sono poi quelli che hanno preso spunto da The Flying Circus. In primis il Saturday Night Live show che oramai da 35 anni imperversa nella tv americana (rilanciato dal personaggio Tina Fay/Sarah Palin che a spopolato in tutto il mondo). La struttura a stream of consciuness che caratterizza il The Flying Circus è una sorta di esempio per moltre trasmissioni televisive inglesi e alcune altre radiofoniche poi trasformate in format per la televisione. A bit of Fry and Laurie prende a piene mani dal The Flying Circus riadattandolo a una conduzione a due (Stephen Fry e Hugh Laurie, oggi protagonista, quest’ultimo, della fortunata serie Doctor House).
A bit of Fry and Laurie - Italian Brothers
Avrei voluto scrivere di più e meglio, un giorno lo farò, prometto. Per finire vi lascio con un video che potete vedere dal canale ufficiale di youtube dei Monty Python (ah già stavo per dimenticarmi la cosa più importante!) in cui una serie di attori e autori della tv e del cinema ci spiegano perchè amano i Monty Python.
Why I Love Monty Python